La neurocriminologia ha punti di incontro con il sistema giudiziario su tre livelli: prevenzione della criminalità, previsione della recidiva e punizione del reo.
Essendo la neurocriminologia in grado di identificare fattori di rischio biologico che forniscono una conoscenza approfondita, al di là delle variabili tradizionali attualmente utilizzate nelle valutazioni della pericolosità, impiegando quest’ultima come strumento di previsione della violenza, si otterrebbero considerevoli vantaggi in termini di prevenzione di reati. Peraltro, supponendo che i dati neurobiologici possano migliorare in modo affidabile l’accuratezza di tali previsioni, potrebbe essere considerato eticamente discutibile non utilizzare tale conoscenza. D’altro canto, uno sviluppo in questo senso solleverebbe altrettante importanti questioni etiche. Il potenziale dell’estensione futura di tale previsione per gli autori di reati, per quanto riguarda la possibilità di una recidiva, e per gli individui incensurati, inclini in futuro a commettere reati, è una preoccupazione importante date le gravi violazioni della libertà personale che potrebbero derivare da falsi positivi, ovvero individui non pericolosi che si prevede siano a rischio di commettere crimini.
La punizione si basa sull’effettivo livello di responsabilità che può essere riconosciuto in capo ai singoli individui. Le analisi neurobiologiche possono essere d’aiuto al fine di capire se gli autori di un reato siano veramente responsabili del loro comportamento e, in caso affermativo, in che misura.
Attualmente in Italia l’imputabilità e la punibilità dipendono dalla capacità d’intendere e di volere del reo. Uno sviluppo futuro potrebbe riguardare l’analisi dei fattori di rischio neurobiologici i quali, combinati con fattori ambientali e sociali, potrebbero portare dunque alla diminuzione della responsabilità penale.